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      Vide un compagno surgere nel circo.
      Con più mite parlar, quindi soggiunse: 260
      ? 202 "Questo tiro attingete, indi un più graveDisco avventar, o giovani, mi penso.
      Havvi cui basti il cor? Venga ed in campo,
      Si cimenti con me (ché troppo ad iraMi concitaste). A perigliarsi meco 265
      Al pugile, alla lotta, al corso or venga.
      No, de' Feaci non ricuso alcuno;
      Laodamante tranne, ospite mio.
      Chi pugnar mai vorrà col dolce amico?
      Stolto ed inetto è l'uom che si presenta 270
      De' certami a contendere la palmaA chi ospitale, appo straniere genti,
      Ospizio gli largì: nòce egli inoltreA sé medesmo assai. Ma quanto agli altri,
      Non tengo a vile e non rifiuto alcuno: 275
      Ben di lor gagliardìa vo' farmi espertoAl cospetto di tutti. Imbelle affatto,
      Qual che il certame sia, non son tra i prodi:
      Trattar ben so lo splendid'arco e 'l primoSaetterò nell'oste avversa un forte, 280
      Benché molti compagni a lato ei s'abbia,
      Postisi in atto di vibrarmi 'l dardo.
      Me Filottete sol vincea dell'arco,
      Quando appo i Tèucri lo tendean gli Argivi.
      Ben superar cred'io gli altri mortali, 285
      Cui 'l biondo cereal frutto sostenta.
      Pur a gara venir già non vorreiCo' prischi eroi, con Èrcole, ed Eurito,
      D'Ecàlia il Re, che di frecciar nell'arteGli Eterni stessi provocare osâro. 290
      Cadde quindi repente il grande Eurito,
      Ned a vecchiezza in sua magion pervenne:
      Perocché lui che all'arco il disfidava,
      Irato, Apollo di sua man trafisse.
      Col giavellotto poi colpisco un segno, 295
      Che altri non fiederà col dardo mai.
      Del piè sol temo, non alcun Feace


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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