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      Doma ch'ei m'ebbe con il vin la mente.
      NESSUN, che mal potrìa sottrarsi a morte,
      Se come il martìr mio senti, del pari 600
      Articolar potessi anche la voceE dirmi, ov'ei dal mio furor si cela.
      Qua, là dal teschio infranto, le schizzateCervella correrìan lungo quest'antro
      Ed un conforto almen verrìami al core 605
      Dagli atroci tormenti, e dallo strazioChe m'inferì quel misero Nessuno."
      ? 461 Detto, lungi da sé fuor della portaL'Ariete spingea. Poiché distammo
      Dall'antro alquanto e dal cortil, repente 610
      Me primo e tosto i miei compagni sciolsi.
      Molte adipose pecore dai lunghiPassi ratto cacciammo a noi davanti,
      Finché al legno giungemmo. I cari nostri,
      Noi che a morte sfuggimmo, accolser lieti; 615
      Ma per gli altri mettean miseri lai.
      Io nol permisi già: co' sopracigliAccennando, a ciascun disdico il pianto
      E lor comando di gettar nel legnoLe molte agnelle dai superbi velli 620
      Subitamente, e fender le salse onde.
      Ratto assisi sui banchi in ordinanzaFerìan co' remi 'l pelago spumante.
      Distando quanto d'uomo aggiunge un grido,
      Queste al mostro drizzava agre rampogne: 625
      ? 475 "No, non dovevi tu d'uom senza schermoDivorar nell'oscuro antro i compagni
      A viva forza, o Ciclope. I tuoi falliTirarti addosso ti dovean tal pena.
      Crudel! che non temesti entro il tuo speco 630
      Gli ospiti trangugiar. Però l'Olìmpio,
      Plaudenti gli altri abitator del Cielo,
      Trasser giusta di Te fiera vendetta."
      ? 480 Di questi detti al suon, vie più di rabbiaRiarse il cor del Ciclope. Divelse 635
      D'alto monte il cacume e l'avventando,


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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