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      D'argentee borchie ornato ed a' piè stavaLo sgabello sotteso. In aureo nappo
      La beva preparommi, in che 'l funestoFarmaco a mio dannaggio ella v'infuse. 415
      La mi porse ed io bebbi e non soggiacquiAll'incanto. Percosso appena m'ebbe
      Della sua verga: "Va co' tuoi - mi disse -,
      Nel fangoso porcile a voltolarti."
      ? 321 Ratto dal fianco trassi fuor la spada, 420
      Contr'essa mi scagliai, quasi agognandoDi piagarla. Dà Circe un alto grido
      Lanciàndosi, sottentra al braccio alzato,
      Strìngemi le ginocchia e supplicandoCon parole volubili soggiunge: 425
      ? 325 "Chi? Di qual gente? Qual città? Qual padre?
      Attonita rimango. E che? prendestiLa beva e nulla in te potéo l'incanto?
      Alcun altro mortal, no, tal malìaNon mai sostenne o tranghiottita l'abbia, 430
      O delibato pur n'abbia una stilla.
      Certo indomita in petto alma rinserri...
      Sarestù forse quell'accorto Ulisse
      Che Mercurio ad ognor mi prediceaDoversi addurre qui, reduce d'Ìlio, 435
      Su d'un legno veloce? Orsù, rispingiIl brando alla vagina, indi nel nostro
      Letto amendue saliti e insiem commisti,
      Tanti di mutuo amor ci darem pegni,
      Che uno dell'altro avrà piena fidanza." 440
      ? 336 "O Circe - rispos'io -, vuoi tu ch'io siaMansueto vèr te, che in queste case
      I miei compagni trasmutasti in verri?
      Vèr te che ritenendomi ad inganno,
      M'ingiungi a penetrar nella tua stanza, 445
      A salir il tuo letto, acciò dell'armiSpogliato, molle tu mi renda e imbelle?
      No, non mai, Diva, salirò il tuo letto,
      Se non m'affidi col terribil giuro,
      Che altra insidia da Te temer non deggio.


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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