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      µ 222 Dissi e tutti obbedîr; se non che tacquiImmedicabil mal, Scilla, non forse,
      Impauriti i miei fuggendo i banchi,
      Della nave stipàssersi nel fondo. 285
      Qui non curai di Circe il dolorosoDivieto e mi vestii le splendid'armi:
      Due giavellotti nelle man branditi,
      Montai sul palco della proda estrema.
      Quivi, il primo apparir fermo aspettava 290
      Della petrosa ed implacabil Scilla,
      Voratrice de' miei. Qua, là volgea,
      Ma sempre indarno, gli occhi affaticatiNe' recessi dell'antro nebuloso.
      µ 234 Nel varco angusto penetrammo intanto, 295
      Gemendo: Scilla il destro lato infesta,
      Il sinistro Cariddi, che gli amariFlutti del mar terribilmente inghiotte.
      Sempre che fuor rigèttali, siccomePaiuol cui sotto molto fuoco avvampi, 300
      Ferve turbata e mormora ed avventaSull'ardue cime d'amendue le rupi
      I larghi sprazzi di stridente spuma.
      Ma quando i flutti ringhiottìa, per entroVorticosa bollìa; la rupe intorno 305
      Terribile rimbomba e negra giusoNell'imo abisso scòpresi l'arena.
      Discolorârsi i miei. Mentre allo scoglioAffisi gli occhi, paventiam la morte,
      Ecco del legno mio sei de' compagni, 310
      Prodi e forti di man, Scilla rapìa.
      Torsi il guardo alla nave e gl'infeliciVedea sull'onde sollevati in alto,
      Springar le piante ed agitar le braccia.
      Le dolenti n'udìa voci che a nome, 315
      Me per l'ultima volta ìvan chiamando.
      Qual pescator che su sporgente masso,
      Di lunga canna armatosi, a' minutiPesci apparecchia un'ingannevol esca,
      Tuffando in mar di bue silvestre un corno; 320
      Ed ecco un preso, in sull'arena il getta,


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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