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      E che de' seggi lor candidi è adorno.
      Adunati che fûr, sì gli assennava:
      µ 320 "Già ci abbonda nel legno esca e bevande, 405
      O miei compagni! Delle torme adunqueAstenghiàmci, onde alcun mal non ne incolga,
      Perocché le giovenche, i monton pinguiPascon ne' campi ad un terribil Dio,
      Al Sol, che tutto vede e tutto ascolta." 410
      µ 324 Acquetârsi al mio dir que' generosi.
      L'infaticabil Àustro intero un meseSenza sosta spirò, né soffio sorse
      Di Noto ed Àustro in fuor. Finché il vermiglioBacco ed il cereal don non fallìa, 415
      Degli armenti del Sol schivi, non altroDesìo li punse che servar la vita.
      Ma come nel naviglio ebber consuntoOgni alimento, dal bisogno stretti,
      Erravano a pigliar coi ricurvi ami 420
      Augelli, pesci o preda altra, qualunqueLor venisse alle man; ché violenta
      Rodendo gli struggea dentro la fame.
      In questo mezzo io percorrea i recessiDell'isola ed orava acciò alcun Nume, 425
      Mi dimostrasse del redir la via.
      E giunto lungi da' compagni, in parteA' vènti chiusa, mi lavai le palme,
      Drizzando a tutti dell'Olimpo i Numi
      Fervide preci; ed ei sopra le ciglia 430
      Dolce sparsermi il sonno. Adunò alloraI miei compagni Eurìloco ed aperse
      Questo consiglio a lor, empio e funesto:
      µ 340 "Benché dolenti, udìtemi, o compagni.
      Tutte gli umani miseri in odio hanno 435
      Le morti, ma non havvi altra più orrenda,
      Né peggior fato, che il perir di fame.
      Or su, del Sol le più belle giovencheVia meniamo ed offriàmle in sagrifizio
      Agli Eterni del Cielo abitatori. 440
      Che se afferrar potrem d'Ìtaca il lido,
      Alzeremo al sublime astro del giorno


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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