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      Chiare, dolci acque. Mettono allo specoDue porte: l'una a Bòrea volta, è schiusa
      All'uom; l'altra vèr Noto, è più divina: 140
      Mortal non mai la varca; è via de' Numi.
      ? 113 In questo porto, già lor conto, entrâroI Feaci; lanciàtosi in sul lito,
      Entrò fin mezza la carena il legno;
      Con tal vigor da' rèmigi fu spinto! 145
      Gettàtisi nel lido, trasportâroSui bianchi lini e sulla bella coltre
      L'eroe fuor dalla nave; e in sull'arena,
      Vinto dal sonno, il posero; indi tuttiTrassero i doni che nel dipartirsi 150
      Largîr a Ulisse i nobili Feaci,
      Da' Minerva inspirati, e dell'Ulivo
      Li collocâro a' piè, fuor della via,
      Non forse ivi sorgiunto un viandante,
      Pria che l'eroe si desti, li rapisca. 155
      Drizzâr indi al natìo loco la proda.
      Ned in questa fûr già poste in obblìoDa Nettun le minaccie che un dì contra
      Il divo Ulisse fulminò: in tal foggiaSpiar quindi tentò di Giove il senno: 160
      ? 128 "No, non terranno più, Giove, gli Eterni
      Me d'onor degno, quando né i mortali,
      Né gli stessi Feaci in pregio m'hanno,
      Della cui stirpe origine son io.
      Il dicea pur testé, che in sua magione 165
      Ulisse n'entrar dovea, patendoMolti guai; ma di perdere il ritorno
      Cagione non gli fui; perocché primaD'un cenno del tuo capo il promettesti.
      Ed ecco or vinto da profondo sonno, 170
      Con ratta nave il trasportâr per l'ondeE 'l deposero in Ìtaca i Feaci.
      D'immensi doni già 'l colmâr: in bronzo,
      In oro in copia e in ben tessute vesti,
      Di tal tesoro in somma l'arricchîro, 175
      Qual di Troia recato ei non avrìa,
      Se con le spoglie che toccârgli in sorte,


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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