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      Non t'incolga alcun mal, ché molti Achei
      Volgon tra sé fieri disegni. Oh! primaLi distrugga e gli sperda il Fulminante,
      Che divengano a noi cagion di lutto."
      ? 598 Ed il garzon: "Tutto che brami, o padre, 740
      S'adempierà: tu preso 'l cibo, parti.
      Dimani all'alba riedi; e qui rimenaLe vittime: di ciò che a far qui resta,
      A me la cura ed agli Eterni lascia."
      ? 602 Tacque ed Eumèo sovra un tornito seggio 745
      Si collocò; preso ch'egli ebbe il cibo,
      Vèr le frotte setose ìva: lasciandoAddietro gli steccati e la magione
      Piena di commensali, a cui fu dolceIl gioire del canto e della danza; 750
      Poi che la vespertina ora sorvenne.
     
     
     
     
     
     
      LIBRO XVIII
     
     
     
      Combattimento tra Iro ed Ulisse
     
     
     
      SORGIUNSE in questa un pubblico indigente,
      Ch'ìva alla cerca in Ìtaca, famosoPer l'ingordigia della gran ventraia,
      Non d'esca sazia mai, né di bevande.
      Pur, né forza né ardir ebbe, ma corpo 5
      Dismisurato. Arnèo nel dì che nacque,
      La madre alma il nomò; ma i garzon tuttiIro, ché ad annunziar lesto correa
      Tutto che da ciascun fóssegl'imposto.
      Giunto, scacciava dal suo tetto Ulisse 10
      E con preste parole il rimordea:
      s 10 "Fuggi, o vecchio, dal portico, o per forzaVia ti trarrò per un de' piè: non vedi
      Di tutti l'ammiccar, che a discacciartiM'ingiungono? pur me ritien vergogna. 15
      Lèvati, od io con te vengo alle prese."
      s 14 Il guatò bieco Ulisse e gli rispose:
      Infelice! Non io ti feci oltraggioIn atto o in voce, né se alcun ti dona
      A larga man, fia ch'io ti porti invidia. 20
      Questa soglia ci cape, né l'altruiBene increscer ti deve: al par mendico


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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