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      La rosea Diva, né i corsier velociGiunger le consentì, Lampo e Fetonte,
      Che l'alma luce apportano a' mortali. 300
      ? 247 E 'l sapiente Ulisse: "O donna mia,
      Non di tutti i travagli al fin giugnemmo:
      Aspra rèstane ancor fatica immensaCh'io fornir deggio al tutto. In quella guisa
      Che il mi predisse di Tirèsia l'Ombra, 305
      Quel dì che sceso al regno atro di Pluto,
      Del redir de' compagni e di me stessoLa interrogava. Or tu ne vien; n'invita,
      O Penèlope, il letto, dove accoltiLargo ne fia di sue dolcezze il sonno." 310
      ? 256 E la regina: "Questo ti fia prestoAl tuo primo desir, perocché a' tuoi
      Splendidi tetti rimenârti i Numi.
      Ma poiché la rimembri ed a te un Dio
      La rivelò, di': qual durar t'è forza 315
      Aspra nova fatica? E poi che deggioNon ignorarla un dì, certo, mi penso,
      Peggio non fia per me saperla or ora."
      ? 263 "Nobil donna infelice! ah! perché maiQuesta fervida brama in te s'accese? 320
      Que' presagi dirò, ma, né tu lietaN'andrai, ned io ne sentirò contento.
      Ir da Città in Città l'ombra m'ingiunse,
      Tra man tenendo ben tornito un remo,
      Tanto che presso a nuova gente arrivi, 325
      Che né conosca il mar, né le vivandeDi sal condisca, né di navi s'abbia
      Dall'alte poppe colorate in rossoContezza alcuna, né de' lunghi remi,
      Ale al vol de' navigli. E certo un segno, 330
      Ch'io celar non ti vo', Tirèsia diemmi:
      Quando verrà al mio occorso un pellegrino,
      Chiedendomi perché mi porti un vaglioSull'omero superbo, "allor - soggiunse -,
      Conficca in terra il remo, a Re Nettuno 335
      Ferisci elette vittime: un cinghiale,


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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