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      Il mio compagno di viaggio fu certo Presepi di Rimini. Stemmo un giorno a Pesaro nelle carceri del palazzo governativo; quando ne uscimmo, di molta gente trasse da ogni lato a vederci; eravamo su di un carretto, incatenati con dei ladri, e posti in modo che il dorso rimaneva rivolto verso i cavalli; si andava all'indietro; così si traducono tutti i prigionieri.
      Il mio compagno chinò la testa, si fece rosso, e avrebbe voluto togliersi alla vista dei circostanti. A questo gli dissi:
      Perché tieni basso il capo?
      Mi vergogno; ci prenderanno per ladririspose egli.
      Che ladri e non ladri?
      aggiunsi; "alza la tua fronte: le nostre figure non dànno indizio di malfattori; ma poi ci tengano per quello che ei vogliono, a me non monta; la nostra coscienza non ci rimorde; noi sappiamo quel che abbiamo fatto, e ognuno è figlio delle proprie azioni."
      Tali parole lo rinfrancarono; da indi in poi stette sollevato della persona, e lungo tutto lo stradale non ci demmo pensiero dell'apparenza. A Sinigaglia soggiornammo poco più di ventiquattr'ore; nel qual tempo fummo a contatto con assassini, la cui presenza fecemi, a dir vero, paura. Costoro, in numero di cinque o sei, entrarono armata mano in una casa agricola, derubarono tutto che aveva qualche valore; uccisero il padre di una giovine che v'era, e la violarono allato al cadavere. Inaudita barbarie! Due di questi si trovavano appunto nella mia prigione, parlavano del fatto come di nulla. Erano contadini, di pel rossiccio, di aspetto deforme, e quasi bestiale.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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