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      In fine pervenimmo a Porta Angelica, ed entrammo per questa, perché gli è proibito ai prigionieri l'ingresso di quella del Popolo. Scendemmo in via Giulia alle Carceri Nuove. Queste, edificate, credo, ad oggetto speciale di prigioni, hanno un aspetto lugubre e nericcio; il fabbricato è altissimo, e tutto all'intorno vedonsi finestre con grosse sbarre di ferro, e sentinelle che proibiscono l'avvicinarsi. Vi possono stare più di quattrocento prigionieri.
      Tanto io che il mio compagno fummo rinchiusi in una segreta, denominata San Mattia, se non erro. Vi trovai Serpieri e i compagni di San Leo, sparuti e mesti; sui loro volti stavano simboleggiate le privazioni sofferte; alcuni indossavano un cappotto da galera di due colori, bianco-scuro; e ciò ne faceva la vista anche più trista. La segreta, piena d'insetti, è capace appena di contenere dieci persone. Il sole non vi batteva mai; vi era alquanta umidità; sicché si respirava un'aria assai fetida ed insalubre.
      Quanto al vitto, dodici oncie di cattivo pane e quattro di minestraccia nell'acqua calda ad ogni ventiquattr'ore.
      Tal vitto non bastava: e coloro de' miei compagni che toccavano appena i diciassette e diciott'anni soffrivano assaissimo. In sulle prime ci furono rattenuti i denari che le famiglie spedivano; e solo dopo qualche mese, senza conoscerne la ragione, fu permesso di farne uso.
      Alcuni giorni dopo il mio arrivo ci venne annunziato, che s'avrebbe avuto la visita dei direttori della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù, i quali ad ogni anno, per la ricorrenza del Natale, sogliono dare, per usanza d'instituto, dieci baiocchi ed un pane di due o tre oncie ai prigionieri di Roma.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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