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      Comunicateci le sentenze di galera in vita, ci cadde in animo di tentare un'evasione. La finestra della prigione dava in un vicolo che metteva al Tevere, donde ci saremmo potuti condurre al mare.
      Le sentinelle circondavano per ogni lato le prigioni: ma essendo le finestre non più alte di quattro o cinque metri dal piano della strada, ci fu agevole parlare con esse. Alcuni amici del di fuori fecero altrettanto, e s'intesero con loro: corrispondemmo col comitato liberale esistente in Roma, e si ebbero chiavi per aprire ai Romani, posti di rincontro, e seghe da tagliare le inferriate.
      Un bastimento fu noleggiato a Livorno, e si recò nelle acque di Fiumicino per attenderci.
      Tutto fu in pronto e con grande esattezza: se non che il calcolo mal fatto per tagliare i ferri fu cagione che non si fosse a tempo nella notte fissata, e che ogni cosa riuscisse a monte. I soldati ebbero il cambio come è di usanza, e più non tornarono. Tutto inutile, ma nulla scopertosi. Si depose tuttavia per noi ogni pensiero di evadere.
      Approssimandosi la solennità pasquale, fummo costretti di confessarci e comunicarci; e prima, a titolo quasi di purificazione, si mandarono i gesuiti a prepararci cogli esercizi spirituali. Per otto giorni dovemmo assistere alle lunghe e noiose prediche dei Loiolisti, accomunati coi ladri e con ogni specie di malfattori.
      Venuto il dì della confessione, avemmo libera scelta tra i padri gesuiti ed i cappuccini: prendemmo questi. Le prime parole del confessore furono: "Ringraziate, figlio, il Santo Padre, che per un tratto di sua infinita clemenza vi ha riammesso dopo un anno al santo tribunale della penitenza, ecc.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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