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      Ma guai se l'opera del dispotismo, che in questo caso è a dirsi benefica, all'appressarsi del turbine cessa per un istante di essere violenta, cieca, e scende alla moderazione, e si ammanta di giustizia, di legalità, di umanità. La nazione, anziché reagire, allora si quieta; e per quella bonarietà, che purtroppo fa talvolta rassembrare il genere umano a branchi di pecore, applaude e prorompe in entusiasmo. Le concessioni del despota, strappategli dalla necessità di esistenza, anziché soddisfazione data ai propri diritti, vengono considerate siccome favori, grazie, clemenze del coronato oppressore. Si dimenticano le antiche tradizioni di potenza e di forza; e la fierezza, propria dei caratteri forti e offesi, dà luogo alla mitezza e al perdono. Non che sbalzare dal trono l'usurpatore, lo straniero, il tiranno, gli si tende la mano, si porge credenza alle sue parole, e per ultimo si cade in uno stato d'indifferenza, sinché a lui piaccia di stringere di nuovo le catene, e di tradire i voti che i popoli stoltamente avevano riposto in lui.
      Così avvenne sotto Napoleone il Grande. Egli destò lo spirito di libertà e d'indipendenza; ma ben presto addormentò questi sentimenti, perché gli facevano paura, e diede all'attività italiana una nuova direzione. Si tennero in pregio le arti, le lettere, gl'ingegni, purché non di libertà si favellasse, purché cortigianeschi e' fossero, purché profumassero d'incenso il novello Giove. Vi si aggiunse la gloria militare, e le battaglie e le croci di onore; talché la nazione, non appena scossasi dal profondo letargo in cui era immersa da tanti anni, ricadde nell'apatismo nazionale; dimenticò o non sentì di essere in balìa di mani straniere, che tendevano a corrompere e costumi, e lettere, e idee; non si accorse che Italia, che Roma divenute erano una provincia francese.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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