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      Che ne avemmo? il nostro stato presente ne porga ragione!
      Di tutte le occasioni che ci si presentarono per la rigenerazione italiana, dopo la caduta delle nostre libertà nel XVI secolo, nessuna ve n'ebbe che si potesse paragonare a quella del 1848. Lo spirito repubblicano dovunque in moto; i despoti fuggenti qua e là, non per forza di un conquistatore, ma per rabbia dei popoli oppressi che si risvegliavano; sì, per vendetta di popoli che riconoscevano di avere diritti e potenza, e di essere un aggregato di uomini ragionevoli. A Parigi, a Milano, a Vienna, a Berlino, a Praga, a Dresda, a Baden, insurrezione. La rivoluzione, non che italiana, era europea.
      Or bene, in quattro mesi tutto fu finito; e quest'epoca che sembravaci porta dalla Provvidenza a farci redenti, terminò col restringere le vecchie catene, e col gettarci in nuovi ceppi.
      Gli eventi miserandi di quell'epoca debbono tenerci ammaestrati per l'avvenire, e farci capaci una volta per sempre, che dove non sono unità, virtù, sapere nei reggitori di una nazione, gli sforzi di un popolo sono inutili; l'eroismo delle masse rimansi sprecato; ed è forza morire o cadere nella servitù peggiore della morte.
      CAPITOLO QUINTO
     
      Cade qui in acconcio narrare i fatti, dei quali fui io stesso testimone sino al principio della guerra.
      Uscito di prigione e ristabilito in salute, mi condussi in Toscana, dove contrassi dimestichezza coi giovani, che s'erano scossi agli eventi dello Stato Romano.
      Con essi diedi mano alla stampa clandestina e alle rimostranze pubbliche e segrete, tendenti a far discendere il governo toscano alle riforme di Pio IX. L'attività, che spiegavasi in questa bisogna, era veramente sorprendente.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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