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      L'emigrazione stavasi all'erta e pronta a varcare i confini, ove una mossa, un fatto si fosse udito: grandi speranze dappertutto, uno stringersi la mano furtivo, un far voti, un volare colla mente nel paese natio, un pensare alla vendetta contro l'Austriaco e il papa. All'estero gli stessi voti.
      Qua e là sacrifizî di persone, di affetto, di danaro: tutto in moto. Ad onta di questo, alcuni de' più influenti fuorusciti, residenti in Genova, disperavano e mancavano di fede: non sapevano i particolari del piano, né chi lo avesse discusso: si diceva essere escito dalla testa di Mazzini, che non aveva mai voluto sottomettere i suoi progetti alla disamina degl'intelligenti; e ciò recava sconforto.
      Da un'altra parte, le voci del prossimo tentativo erano in bocca d'ognuno; e il signor Buffa, intendente di Genova, chiamava a sé alcuni fuorusciti, ammonendoli a mantenersi quieti.
      Stando così le cose, seppesi a un tratto essersi schiacciato il principio di una insurrezione a Milano, messo mano agli arresti, legge marziale, impiccamenti, ecc.
      Ed ecco come procedette il caso.
      Pochi giovani eroi, nel dì 6 febbraio, si avvicinarono sotto specie di curiosità all'ingresso del Castello ed in un attimo slanciaronsi sulle sentinelle, penetrando nell'interno; ma invece di dare di piglio ai moschetti, che loro stavano sotto mano, s'impadronirono di un cannone, e si avviavano a trarlo fuori. Riavutisi i soldati dal primo sbigottimento, loro furono addosso, e li arrestarono, mentre stavano giocolandosi intorno al pezzo, che in quell'istante serviva di impaccio anzi che no.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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