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      Va vestito molto convenientemente, e porta due orologi d'oro con catene, uno dei quali nella sottoveste, e l'altro nella tasca dell'abito.
      Costui era il segretario di Sanchez, e si piaceva negli esami a deridere il prigioniero, e a far dimande suggestive; e costui avrebbe dovuto stendere il processo verbale della mia esecuzione. Gli ultimi giorni che il vidi, nel mese di gennaio e febbraio, quando accompagnava il presidente alla visita, io il guardava, e diceva entro di me: "Non mi vedrai morire; presto riderò di te e di Sanchez". Ed ora lo faccio, la Dio mercé, di tutto cuore.
      Alli 10 incirca di agosto, Casati mi disse che aveva chiesto di lasciare il castello di San Giorgio. Questo annunzio mi afflisse; egli, quantunque rigoroso, si era mostro con me assai gentile, e, volere o no, m'aveva somministrato del pane, che mi tenne in vita. Mi richiese di lasciargli una lettera in testimonianza dei buoni trattamenti usatimi; lo feci: seppi anche, che ne aveva di Tazzoli e di altri. Nella lettera io dicevo: "Forse non ci rivedremo mai più: conosco la mia fine; ma sino a che vivo, non dimenticherò mai che ella m'ha soccorso di pane e di libri, i quali sono necessarî al pari del primo per una persona intelligente". Ora che sono libero, ripeto la stessa cosa, né dimentico le buone azioni, né chi me le ha fatte. Però la condotta del Casati durante il processo militare è indegna e vile; e dovendo parlare di lui non posso, per amore di giustizia, tacere le cattive sue qualità.
      Francesco Casati, di Milano, figlio di un custode carcerario, andò granatiere nelle truppe austriache; divenuto sottuffiziale, si pose nella carriera del padre.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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