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      Percossi i ginocchi, e sentii un dolore acutissimo al piede destro di già offeso. Perdetti momentaneamente i sensi: riavutomi, mi trassi di sotto l'arancio, e mi inumidii le fauci; sembrommi di tornare a vita.
      I secondini intanto stavano girando per compiere la loro visita, ed io in fondo della fossa udiva il rumore che facevano.
      Trascorsa una buona mezz'ora, mi vestii, e zoppicando voltai a sinistra del castello, avviandomi verso il prospetto di esso.
      Mio primo pensiero fu di prendere per la vôlta, che mette al lago, donde le acque vengono ad ingrossare la fossa; perché supponeva di potermene uscire sul margine, donde mi sarebbe stato facile sul far del giorno sboccare sulla strada, che conduce al ponte di San Giorgio.
      Vi entrai adunque; vi aveva un piede di melma: giunto al termine, trovai una ferriata, che ne chiudeva l'uscita. Tornai addietro; salii sulla vôlta, e tra le commessure dei mattoni assai vecchi potei piantare i due chiodi, che aveva portato meco. Ero ormai giunto alla vetta del muro, quando la gamba destra mancò e caddi in addietro: questo capitombolo ebbe ad ammazzarmi; fuvvi un momento che disperai. Mi riebbi dopo una buona mezz'ora; portando una corda calata con me, passai zoppicando dinanzi al prospetto del castello, e mi condussi all'angolo, che risponde alla porta di San Giorgio.
      Ivi è un condotto di pietra, che serve per lo scolo delle acque della strada.
      Gettai la corda, mi studiai di arrampicarmi: tutto impossibile; le forze non valevano. Tolsi allora la corda, e mi gettai disteso per terra, aspettando che si facesse giorno.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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