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      Dormii alcun poco, ma il freddo e il dolore mi scossero; pensai, e vidi tutto il brutto della mia posizione: ripreso, sarei stato bistrattato e deriso, e poscia impiccato ben presto.
      Al primo albore mi alzai, e provai a camminare per riscaldare un po' la gamba che mi doleva oltre maniera: i ginocchi erano scorticati.
      Apertasi la porta alle cinque, chiesi che mi desse aiuto ad un giovane di circa vent'anni, che passava, dicendo che la sera antecedente ero caduto per ubriachezza di acquavite. Non ne volle sapere, e tirò dritto. Passarono altri due: feci la stessa inchiesta; mi compassionarono, e dissero:
      Povero signore!
      Ed osservata la fossa, soggiunsero:
      Cadiamo in disgrazia anche noi, senza poterlo salvare; passa troppa gente
      .
      Indi se ne andarono.
      Comparvero altri due: fui da capo colla solita domanda: si fermarono; gettai la corda; la presero; era per attaccarmi; tutt'ad un tratto la lasciarono: sopravveniva gente.
      Quanto a me, senza essere né spaventato, né agitato, tentava con chiunque passasse, giacché mi era indifferente, se si fossero chiamate le guardie della porta: osava senza né manco pensare di riuscire a salvarmi, e andava innanzi coll'audacia di chi è all'ultimo.
      Non appena quei due ultimi se n'andarono, che passò un giovane assai robusto, un contadino; lo chiamai, dissi:
      Datemi una mano, sono caduto
      .
      Senz'altro aspettare, gittai la corda, la prese e subito provò a tirarmi:
      Ma non gliela possoegli disse.
      Chiamate un altrorisposi.
      Appunto passavano molti, perché essendo giorno di domenica, andavano alla città.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371