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      Alla invasione dei popoli settentrionali noi divenimmo servi; colla cacciata del Barbarossa riacquistammo la indipendenza; all'incoronamento di Carlo V e alla caduta della repubblica di Firenze, la riperdemmo.
      Sullo scorcio del secolo passato gli stranieri, propriamente parlando, non possedevano che la Lombardia, e i governi italiani disimpegnavano indipendenti l'esercizio della sovranità loro.
      Venuta la rivoluzione francese colle promesse di rigenerazione, ci levammo per farci liberi e indipendenti; ma essendoci la libertà porta da mani straniere, finimmo per cadere in una servitù peggiore di prima.
      Col trattato di Vienna i principi italiani divennero indistintamente altrettanti proconsoli dell'Austria; e scomparve lo stesso nome di libertà, che pur si pronunziava sulle rive di Venezia e di Genova.
      Dal 1849 in poi questo stato di politica interna ha avuto una modificazione nel Piemonte.
      Sonosi cambiati principî e uomini, havvi il regime costituzionale, e a un vecchio e fedele proconsole dell'Austria - Carlo Alberto - è succeduto un altro re, non macchiato però dei delitti del padre, e inaugurante una nuova êra.
      Posto che il governo sardo sia pienamente libero - che non è, e nol può essere - l'Italia rimane però sempre dipendente, e più di venti milioni dei suoi figli sono ridotti a languire nelle miserie della schiavitù.
      Sì, finché uno straniero è militarmente stabilito in Italia, noi siamo servi; i nostri migliori prodotti, le nostre ricchezze, i nostri soldati convergono a Vienna; le donne italiane non sono nostre, ma dello straniero e dei suoi sgherri; il bastone può da questi essere usato a piacimento; la vergogna, la nullità stanno scritte sull'alto dei monumenti, che i nostri avi una volta edificavano per indicare invece la gloria, la grandezza, la potenza, la indipendenza e la libertà.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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