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      Egli però lo affetta mescolandolo con la sua minestra brodosa, e siffatta abitudine è cosí propria dei massari, che, a senno loro, non è uomo compíto chi non l'abbia. Un sarto attillato e pinto avendo chiesta a sposa la figlia d'un massaro, il padre, a provare se il futuro genero fosse degno di lui, lo invita a pranzo, e chiama a tavola un'abbondante minestra di cavoli con grandi pezzi di lardone. Il sarto vede la minestra fumante, e la guarda. "Perché non mangi?". "Aspetto che si freddi", e prese a soffiarvi sopra. Il massaro sorrise: vi buttò dentro grosse fette di pane, e subito la minestra si raffreddò. "Voi non siete per mia figlia, riprese poi: non è uomo di pane chi non sa l'uso del pane"; e le pratiche si ruppero. Il massaro ha stomaco capace e forte; mangia quattro volte al giorno, e dice Saccu vacanti nun si reje all'irta (sacco vuoto non si regge ritto); trascura l'eleganza del vestire, le sue brache sono le brache piú larghe, il suo cappello è il piú vecchio cappello, e ripete: Trippa china, (piena) canta, e non cammisa janca (bianca); Trippa china, e faccia tinta. La sua faccia non è sempre dunque pulita, e la sua camicia non è sempre di bucato; ma è ricco, è indipendente, ed ama il lavoro. Va a letto al tocco, e se ne leva all'alba, anzi prima. Prima ch'u gallu canta súsiti (àlzati) e va fora; si vu' gabbari u vicinu, curcati priestu, e súsiti matinu; chi si leva matinu abbuschia (lucra) nu carlinu; chi si leva a juornu s'abbuschia nu cuornu, son le massime che il padre lasciò a lui, e ch'egli lascia ai suoi figli.


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319

   





Saccu Trippa Trippa