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      Egli dunque seminò in un renacchio collocato tra due torrenti; seminò grano e il suo raccolto fu di dolori. Gli zampagliuni sono, ora i grilli di lunghe zampe, ora le mosche cavalline; e il suo frumento battuto sull'aia diventò uno sciame di mosche e volò; perché i creditori non gli diedero tempo di portarselo a casa, ma gli furono sopra sull'aia medesima, e glielo sequestrarono. Il misero pensò di vendere quel renacchio ad un ricco signore; e costui, invece di denaro, gli diede sicuzzuni, parola che risponde a capello al toscano sergozzone, perché pare che in tutti i punti del globo i sergozzoni siano fatti pel contadino. Spogliato e giuntato se ne richiamò col Giudice, e per tutta giustizia il Capitano lo manda in prigione. Quale scoramento non entra allora nel cuore del malarrivato! Nulla gli riesce, nulla crede che gli possa riuscire; trova inciampi per tutto, anche nel letto, ne casca giú, e schiaccia (scamaccia) i piccioni, che vi si educano sotto. L'ultima strofe ha una grazia indefinibile, la grazia del riso tra le lacrime, la grazia dell'uomo che dà la baia a se stesso ed alla fortuna. Accende il fuoco, vuole arrostirsi i piccioni; ma un triste destino veglia ai suoi danni, e il gatto orina sulle braci e gliele spegne. I suoi proverbii sono informati da giustizia profonda: Sugnu fortunatu cumu l'erba d'a via! U disignu d'u póvaru u vientu u mina! Tutti i petri s'arruzzuòlanu alli piedi mia! U vo' ha da moriri cu la lingua grossa! Egli dunque non è uomo ma un'erba che cresce sulla via: chi passa la calpesta!


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319

   





Giudice Capitano Sugnu