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      E nondimeno tra tanta miseria il genio calabrese non si estingue: la poesia rovescia la sua luce sulla povera casacca, e la rattoppata guarnaccia, e composte dai braccianti nostri sono l'anonime canzoni popolari che ne descrivono lo stato. Una di esse dice:
     
      Un mi ni curo si giùvani iu muoru,
      Ca lassu la mia bella accomudata:
      Li lassu na gallina chi fa l'ova,
      Nu gallo chi li fa la matinata;
      Li, lassu na farzata (coperta) e dua lenzola,
      Si ci cummoglia alla forti vernata:
      Li lassu nu stuppiellu (14) e piparuoli;
      Si ci mangia lu pane quannu è stati.
     
      Quanta pietosa ironia è in questa canzone! Il bracciante dunque muore contento, perché sa che, morto lui, la moglie rimane provveduta di tutto! E di che e provveduta? D'una gallina, che le fa l'uovo, d'un gallo che la sveglia, d'una sola coverta per l'inverno, e di peperoni ardenti, coi quali, egli dice, la si rinfrescherà il sangue mangiandoli in està col pane, o facendone una crescentina.
      Quest'altra canzone è piú seria, mettendo a confronto il povero col ricco:
     
      Nasci lu riccu e buono parentatuU povariellu de n'affritto lignu:
      U riccu ad ugne tavula è 'mmitatu,
      U povariellu nun ne fozi (fu) dignu:
      U riccu, quannu ha debiti, è aspettatu,
      U povariello o carceratu, o pignu;
      Mori lu riccu, e la cruci ha 'nnorata (dorata),
      U povariello ha na cruci de lignu.
     
      Dopo tali canzoni dovrò aggiungere quella dei pidocchi? A questa, e consimili parole, molti nostri lettori che hanno il liberalismo, il galateo e la carità cristiana non nel cuore ma nel naso, l'arricceranno sdegnosamente.


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319