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      Noi abbiamo altro gusto; noi con questi pazienti studii sulle condizioni del nostro popolo miriamo a ben altro scopo che a quello di soddisfare un'inutile curiosità. Noi vogliamo che la classe culta ed agiata guardi il popolo nostro composto tutto di braccianti proletarii, nati da un legno afflitto, respinti dalla tavola dei beni sociali, costretti a garentire la lira, che si mutuano, o col pegno della zappa o col sacrificio della loro libertà; o solleviamo arditamente il lurido e fetido panno, che ne copre le piaghe, per far cessare le prepotenze, per far sparire le barriere che un orgoglio feudale ha messo tra i galantuomini ed il popolo, e per dir loro: "Educhiamolo". Ah! e che cosa è dunque un popolo, ch'è capace di comporre, di cantare, di udire ridendo la seguente canzone?
     
      Nu journu li piducchi feru festa,
      Mi jianu (andavano) pe' li spalli cumu muschi;
      Ed io jia pe' porti e pe' finestri,
      Nu quaderuottu pe' trovari 'nbrustu (in prèstito).
     
      I pidocchi dunque festeggiano e fan galloria sulle carni abbronzate del nostro popolo, che non ebbe mai né due calzoni, né due camicie, e che per nettarsi degl'insetti, che lo succiano, si presta una caldaja, e vi mette a bollire i suoi panni!
     
      Nu quaderuottu nun puotti trovari,
      E jivi a mi circari (15) a nu valluni:
      A schere a schere cientu a lu collaru,
      E quattrucientu jianu allu juppuni (16).
     
      Uni ci n'era, ch'era palummaru (palombaio),
      Tenia li corna cumu nu muntuni:
      Iu jivi - amaru iu! - pe l'amazzari,
      E mi dezi allu piettu nu 'mmuttuni.
     
      Cadivi 'nterra, e cursi alli gridati


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319