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      I caci si dividono a metà; ma le ricotte cedono tutte ai pastori, salvo il dritto al padrone di averne una mancia due volte la settimana, e quello del cascinaio di fare dal prezzo delle ricotte una tolta di 12 centesimi ad ogni cacio per spese d'insalamento. I luoghi dove il bestiame s'aggreggia di notte o nel cattivo tempo sono l'ovile (garazza, sgarazzu, curtaglia), la steccata ch'è una palizzata di canne, o sarmenti, o lentisco (interratu), e l'agghiaccio (mandrone). Lo stallàtico vernòtico che si fa nell'ovile, ed il primaverile in aprile e maggio appartiene al padrone: quello dell'agghiaccio (notti e nuotti) si divide tra i pastori. L'ovile è un muricciuolo che corre parallelo ad una serie di stecconi confitti in terra, e che si curva a foggia d'un ferro di cavallo. Gli uni e l'altro sostengono il coperto, ch'è d'embrici, e sovente di frasche. Il muricciuolo è di creta, spesso secco con sola incalcinatura, ed alto un quattro palmi. L'agghiaccio non si cinge con funi, come usano in Toscana, ma con siepaglie mobili, che si portano da un punto all'altro. L'agghiaccio di cento pecore o capre si vende da 34 a 63 centesimi secondo i luoghi, e le stagioni; ed i padroni delle terre che si stabbiano, per avere maggior copia di pecorina, usano di lanciare in aria tizzi ardenti, che cadendo tra le tenebre sull'agghiaccio spaventano le pecore, che levansí in tumulto e fanno ciò che la paura suol produrre.
      Le pecore si tosano tre volte all'anno, alla metà di marzo, a maggio ed a settembre.


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319

   





Toscana