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      ), lucerte, acciughe, sono frutti comuni e copiosi dei nostri mari. Nel Tirreno abbondano i testacci ed i zoofiti, il riccio, la penna, la fravola, e l'infinita generazione dei nicchi; ed i bagnanti non hanno che a portar seco un coltelluccio per staccare dai grebani e dai scogli, su cui siedono ignudi, incredibile quantità di patelle. Nel Jonio al contrario son rari, ed i nativi di quelle maremme conoscono poco altro che le nacchere (cozze) colà navigate dalle barche di Taranto. Nondimeno non abbiamo porti, le pescate sono scarse, il nostro barchereccio una miseria, le barche pessimamente attrezzate; e la cagione è da recarsene all'essere i nostri paesi piú grossi e popolati quasi tutti mediterranei. Il Jonio possiede barche che pescano, non barche che navigano, il Tirreno l'une e l'altre; perché i proprietarii delle marine di levante hanno grano, hanno olio, hanno tutte le agricole ricchezze, e trascurano il mare, laddove del Tirreno dice un nostro proverbio: Marine di ponente pane niente, e la popolazione vive con la pesca e il commercio. Le navicelle da pesca nell'uno e nell'altro versante di nostra provincia di poco oltrepassano le cento.
      Si costruiscono da noi, e buoni squeraroli non mancano; se non che questa sorta artefici non s'incontra per tutto, ma forma per cosí dire una casta ridotta in pochi luoghi, come all'Intavolato, al capo di Bonifati ed Acquappesa. Il gelso moro dà il corbame, ossia l'ossatura, l'abete i maieri, il faggio i banchi, i remi, e gli scalmi; e il gozzo (guzzo) o sciatta, che n'esce, non costa attrezzata che un dugento dodici lire, o in quel torno.


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319

   





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