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      Sono suoi attrezzi un trinchetto, un'ancoretta, un cavo di canape, un libano, ed una libanetta, che sono manovre di sparto, erba da noi nominata la tonnara, e le taglie o bozzelli, cazzando la cui fune, la barchetta viene accostata alla terra. Vi montano da cinque o sei marinai, il nocchiero (nachiere), ed un mozzo. Danno la palmata al proprietario il dí 24 giugno, festa di S. Giovanni, e ne ricevono la caparra, ed il mestiere. Dicesi cosí in loro lingua l'insieme delle reti, quanto serve al governo e raddobbo della barca, e le legna, la caldaia e la porporina. È la porporina, se non andiamo errati, un miscuglio di argento vivo e stagno in foglia incorporati per opera del fuoco allo zolfo ed all'ammoniaca; nella loro favella le dicono zappino, la sciolgono nell'acqua bollente della caldaia, e vi tuffano le reti per colorirle in rosso, renderne forti e durevoli gli spaghi, e capaci di resistere ai sali roditori del mare. Tutte le loro reti sono rivali; la rezzola o sciàbica, la tartana, la manàide (minàita) e la palamitara (palancastru) non pigliano l'alto piú d'un chilometro; lo sciabichello poi rade la spiaggia. Ignorano il ghiaccio, le nasse, la sagena, le vangaiuole, che si calano in alto mare, e la draia che rade i fondi piú bassi, e che, adoperata nell'acque nostre, ci pescherebbe un popolo infinito di conchiglie. E quello che non sappiamo, né facciamo noi è vergogna che facciano i Sorrentini, che vengono nel nostro Jonio di mezz'ottobre or con quattro, or con cinque paranze e ventotto marinari, e se ne vanno nel maggio.


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319

   





S. Giovanni Sorrentini Jonio