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      La costruzione, come si vede, è semplicissima, e ci viene senza alcuna arruota, dagli antichi latini; voci latine e bellissime sono ranula ed alapa rimaste tuttora vive nel nostro dialetto. Veramente le pale della ruota pare che schiaffeggino l'acqua che vi fa impeto sopra, e loro sta bene il nome di alapa, che significava schiaffo, e la bronzina poi pel suo starsi sott'acqua, per le sue quattro branche conficcate sul ponte, pel suo dorso aggobbito ed incavato, non potea chiamarsi per nome piú proprio che per quello di rànula, ossia piccola ranocchia. Per chiamar poi rospo l'infima ed estrema rotondità del palo, che si gira e si frega in corpo alla ranocchia, il mugnaio calabrese ha certo avuto le sue belle ragioni; e cosí il dabben uomo quando giacendo rivelto, e turandosi il viso col cappello piglia un sonno sospeso, crede nel rumore dell'acque che cade e delle ruote che girano di distinguere il gracidamento delle rane, il fischio dei rospi, e il frullo che fanno l'ali delle palombelle.
      A questi attrezzi, che per essere sotto il pavimento del molino si tolgono all'altrui sguardo, bisogna aggiungere quelli che si trovano nella stanza delle macini. Le macini, larga ciascuna quattro palmi ed un quarto, ed alta quattordici once, si tagliano nei grossi macigni di fiumi, e costano trainate nel molino da centodue a centoventisette lire. Posano l'una sull'altra sopra un sodo di mattoni messi per coltello, e tra quattro panconi (antuni) inchiodati di sopra contro i travi del tetto. Una cassa (tina) di stecche cerchiate le piglia dentro di sé, perché la farina non venga lanciata via, ma esca dalla sola parte, dove la sponda circolare della cassa è interrotta, e cada giú nel matraro.


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319