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      Pínnolo fino alla mezzanotte fé lo zanni: rideva, motteggiava, e quando gli si parlava di grazia "Oh sí, - soggiungeva -, domani avremo certo la grazia delle palle". Il confessore avendogli ricordato l'inferno, Pínnolo gli domandò a sua volta: "Chi n'è venuto?" Bellusci gridò allora: "Pínnolo, io ti fui cagione della rovina del corpo; non voglio esserti quella della perdita dell'anima: Dio ci è, Dio ci aspetta; pentiti".
      Si chiese a Pínnolo se lasciasse moglie, ed egli rispose: "Io non lascio moglie e perciò muoio tranquillo, perché non corro pericolo di essere cornuto". A queste parole Bellusci mutò colore, e disse: "Con ciò forse intendi dire che il cornuto sarò io? Ma i miei cognati sapranno costringere la loro sorella ad usarmi rispetto".
      I due briganti fumarono sette sigari, e dormirono tre ore. Pínnolo si confessò col padre De Vulcanis fratello dei briganti De Vulcanis che si trovano in prigione, ed ai quali egli e Bellusci lasciarono i loro stivaloni, ed i cappotti. Questi si confessò col prete Luigi Santelli. "Padre, - gli disse-; ho trecento locati nascosti nella montagna di Bonifati; ti darò i segnali del luogo, e me ne dirai tante messe". "Non posso accettarli". "Se non volete accettarli voi, distribuiteli agl'infermi dello Spedale di cui siete Cappellano". "Ciò neppure va bene: il denaro rubato deve restituirsi al padrone". "S'è cosí, ti prego a manifestare il luogo del nascondiglio ai sig. Antonucci, Diodati e Romito; perché quel denaro è la quota che a me toccò del loro sequestro". Dopo un lungo silenzio ripigliò a dire: "Padre, voglio morire col lustro: temo che ci fucileranno di notte; ottieni, ti prego, che fossimo uccisi dopo nato il Sole". Entrarono i Carabinieri; uno di questi parve imbarazzato a legare le mani di Bellusci, e questi gli disse: "Passate per di qua la corda, ché stringerete meglio, e piú presto". Quando si avviarono al supplizio la popolazione accorsa era immensa.


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319

   





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