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      Tentò d’ingrandire i suoi dominî di terra ferma; ma gli venne fallito il colpo, per opera del gran Gelone, re di Siracusa.
      Poco sopravvisse quel tiranno a tali inutili imprese. Prospere furono le cose di Messena finchè resse la cosa pubblica il virtuoso Micito, cui il tiranno lasciò il governo, sino a tanto che i due piccoli figli suoi fossero giunti in età di governare da per loro. Ma venuti costoro adulti, tanto abusarono dell’autorità, che la terra si levò in armi, li scacciò e cominciò a reggersi a popolo.
      IV. - Circa a questo tempo tenne Falaride la tirannide d’Agrigento (Anno 536 a. C.). Costui, che Cicerone chiama ora tiranno efferato ed inumano, ora crudelissimo ed asprissimo; e che Aristotele, Plutarco, Iamblico, Ateneo ed altri gravissimi scrittori di quell’età tengon modello di crudeltà, a segno che Ateneo ingojò la favola che egli facea arrostire i bambini lattanti e mangiavali; ha trovato nell’età nostra più di un’apologista. Gl’inglesi Boyle e Dodwel si studiano di provare l’autenticità delle lettere, che portano il nome di lui, e poi se ne valgon di prova per discolparlo. Benthley combatte, e forse vittoriosamente, l’autenticità di tali lettere, che si credono opera di Luciano, o del sofista Adriano. Ma, posto ancora che autografe quelle lettere fossero, mostrerebbero i pensieri, non le azioni del tiranno: ned è di rado il caso tra gli uomini, e molto meno tra i principi, di non esser le azioni conformi ai pensieri.
      È assai probabile che coloro, che tanto male dissero di costui, abbiano esagerate le sue colpe; ma non è credibile che le avessero del tutto inventate.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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