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      Fu risoluto d’abbandonar la città sul far della notte. Al pubblicarsi di quella risoluzione, risuonarono le strade e le case di grida di disperazione. e di flebili ululati. Lagrimevole spettacolo fu poi il vedere dugentomila cittadini d’ogni età, d’ogni sesso, di ogni condizione, abbandonare piangendo i patrî lari. Nobili matrone, vergini venustissime, pargoli innocenti, vecchi, giovani, servi, padroni, nobili, plebei, passati istantaneamente dal sommo della mollezza alla miseria estrema, scortati dalle milizie si avviarono a Gela. Ivi giunti, i Siracusani li fecero poi stanziare in Leonzio.
      Il domani, i Cartaginesi, non senza timore di sorpresa, entrarono in città. Vi misero a morte quei pochi cittadini, che non s’erano partiti, o perchè inabili al viaggio, o perchè in essi più potè l’amore della patria, che il timore della morte. Fra costoro era il generoso ed ospitalissimo Gellia; il quale s’era ritratto colla sua famiglia ed i suoi tesori nel tempio di Minerva, sulla speranza che i Cartaginesi avessero rispettato il luogo. Visto che gli altri tempî erano da essi saccheggiati, dato fuoco a quello in cui era, vi perì. Oltre al danaro, immensa fu la copia dei quadri, di statue, d’ornamenti e di domestiche masserizie, che i Cartaginesi trassero dal saccheggio della città; fra’ quali fu anche il famoso toro di bronzo, strumento della crudeltà di Falaride, che fu portato a Cartagine.
      Imilcone, dato il sacco alle case, si diede a demolire i tempî magnifici, ch’erano nella città e nel contado.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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