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      Ciò non però di manco Dionigi, non che avesse in appresso mostrato alcun rancore verso Teodoro e gli altri, divenne indi in poi più umano e cortese verso tutti i cittadini.
      Mentre in città tali cose accadeano, un morbo letale facea strage de’ Cartaginesi. Le schiere affricane ne aveano portato il germe; ed il male si era poi dilatato e più violento era divenuto, pei disagi, per le fatiche, per lo essere i soldati ristretti in piccolo spazio, per l’aria malsana delle vicine paludi e per li straordinarî calori dell’estate, che allora correa. Il volgo superstizioso ne accagionava l’ira degli Dei, per avere Imilcone profanato i sepolcri. Febbre, catarro, enfiagione della gola, attacco de’ nervi, dissenteria, dolori acutissimi nella spina dorsale, un peso alle gambe, pustole per tutto il corpo, erano i sintomi dei male. Spesso vi si aggiungeva la frenesia; per cui l’ammalato si dava a correre per lo campo, urtava, feriva e, quel ch’era peggio, comunicava il male a quanti gli si paravano avanti. Vana era l’opera de’ medici; al quinto o sesto giorno sopraggiungeva senza scampo la morte. Sulle prime, furono destinate persone ad assistere gli ammalati e seppellire gli estinti; ma in breve tanto ne crebbe il numero, che non si dava più nè assistenza a quelli, nè sepoltura a questi. Indi avvenne, che il puzzo di migliaja di cadaveri, putrefatti anche prima della morte, accresceva a più doppî la violenza del contagio.
      X. - Dionigi seppe giovarsi della crudele situazione, in cui erano i nemici.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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