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      Timoleonte, per togliere dall’animo loro quella superstizione, fattili fermare, disse quanto conveniva per rianimare il loro coraggio, e conchiuse che non era da dubitare della vittoria; dacchè gli Dei apprestavan loro le corone; alludendo al costume de’ Corintî di coronare d’appio i vincitori dei giuochi istmici. Ciò dicendo corse a quei muli, e, fatto una ghirlanda d’appio, se ne coronò. Tornati animosi per questo i soldati, vollero anch’eglino coronarsi d’appio e maggior cuore presero dalla vista di due aquile che volavano, una delle quali aggrappava un serpente, e l’altra le tenea dietro gridando, come per farle cuore: di che gl’indovini trassero ottimo augurio. Rimessosi l’esercito in via, venne a fermarsi su di un colle, che soprastava al Crimiso.
      V. - Spirato il mese di Targelione, era allora prossimo il solstizio d’estate. Sul far del giorno tutta la sopposta pianura era coperta da nebbia densissima, che non facea distinguere gli oggetti. Da un confuso rombo che dalla pianura movea, conobbe Timoleonte, essere prossimi i nemici. Levato il sole, la nebbia venne addensandesi sulle alture; onde i Corintî senza essere veduti, scoprirono tutto l’esercito cartaginese che s’accingeva a guadare il fiume. Precedevano le quadrighe. Un corpo di diecimila fanti, gravemente armati, le seguiva. Dallo splendore de’ costoro arredi, dai grandi scudi bianchi che portavano, e dal lento ed ordinato proceder loro, si distingueva essere questa la schiera eletta di cittadini cartaginesi. Tutti gli altri corpi indistintamente venivano appresso.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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