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      Non li lasciò Agatocle raffreddare; li menò tosto al combattimento. I Cartaginesi mentre tutt’altro che ciò s’aspettavano, furono assaliti con tanta furia, che in poco d’ora furono rotti e fugati.
      Fu allora che Agatocle, saputo da alcuni soldati cirenei che i generali d’Alessandro aveano assunto il titolo di re, non tenendosi da meno di loro, volle anch’esso avere quel titolo. E forse allora furono coniate le monete, nelle quali è improntato il fulmine alato, allusivo alle guerriere sue imprese, col motto AGATHOKLEOS BASILEOS. E nel rovescio la testa di Diana coll’epigrafe SOTEIRA. Non volle però cingere diadema; forse credea quell’insegna odiosa al popolo; portò sempre una corona di mirto.
      IX. - Vinte altre battaglie, espugnata, malgrado la forte resistenza, Utica, re Agatocle nell’anno 2o della 118 Olimpiade (307 a. C.) fece ritorno in Sicilia, lasciando il figliuolo Arcagato al comando dell’esercito e del paese conquistato. Preso terra a Selinunte, trovò che i suoi generali Leptine e Deinofilo aveano in campal battaglia sconfitto gli Agrigentini. Egli stesso sottomise Eraclea, e poi passando dall’altro lato dell’Isola, cacciò il presidio cartaginese da Terme-imerese, e s’insignorì di Cefaledio. Tentò far lo stesso di Centuripe, e non gli venne fatto; ben vi riuscì in Apollonia, ove fece grande strage.
      Restava ancora Dinocrate, che alla testa dei fuorusciti Siracusani tenea la campagna. Il suo esercito veniva d’ora in ora accrescendosi di tutti coloro (ed assai erano) che l’amore della libertà spigneva a disperati consigli.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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