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      Nè le armate distrutte dal nemico o dalla tempesta; nè gli eserciti disfatti; nè le macchine incese; nè la fame stessa, poterono stancare la romana longanimità. Cartagine finalmente s’acchinò a chieder pace. Dure ne furono le condizioni dettate dal console Lutazio, rese anche più dure dall’orgoglioso senato romano: cedesse Cartagine Lilibeo e sgombrasse la Sicilia e tutte le isole prossime ad essa e all’Italia; non facesse mai guerra od altro danno a Gerone, ai Siracusani o ad altro amico di Roma; restituisse senza taglia i prigioni; pagasse a contanti mille talenti euboici (73), e duemila dugento in dieci anni. Tale ebbe fine, dopo ventiquattro anni, la prima guerra punica, nella quale Cartagine perdè cinquecento legni da guerra, e Roma settecento, oltre le barche da trasporto, le macchine, gli arredi e lo sterminato numero d’uomini. Indi in poi tutta Sicilia, tranne il regno siracusano, venne in potere di Roma.
      VII. - Mentre le due repubbliche tenevano dietro a dilaniarsi reciprocamente, re Gerone, trattosi opportunamente fuori della lotta, poneva ogni suo studio a render florido il suo regno, con quei provvedimenti di pubblica economia, che rendevano lieve il peso dei tributi, e mettevano il cittadino al coperto di quelle angherie, che spesso sono più pesanti delle imposte.
      La rendita dello stato traevasi allora principalmente dalla decima di tutti i prodotti della terra (74). Tale imposizione, comune a tutti gli antichi popoli, comechè fosse sempre proporzionale agli averi del cittadino, nel fatto dà luogo ad infiniti soprusi; perocchè l’esattore della gabella può fraudare al tempo stesso il tributario e lo stato, con estorquere a quello di più, e dare a questo di meno.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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