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      Appena giuntivi, sboccò dalle feritoje una tempesta di dardi ed altre piccole armi. Dall’alto si mandavano giù e sassi e pesanti travi, che gran danno facevano nel cadere, anche più nel precipitare e nel rimbalzare. Al tempo stesso briccole, fionde, catapulte, baliste ne scagliavano via via, sino a gran distanza; intantochè i Romani si trovarono istantaneamente come involti in una tempesta. Di sotto, di sopra, da presso, da lungi erano trafitti, pesti o stramazzati, senza potere opporre difese o recare il menomo danno ai nemici; anzi senza pure vederli. In guisa che pareva loro combattere, non cogli uomini, cogli Dei sdegnati.
      Marcello, che a gran ventura ne andò illeso, motteggiava i suoi ingegnieri, chiedendo loro cosa sapessero opporre alle macchine di quel geometra Briareo, che faceva avverare la favola de’ giganti dalle cento braccia. I soldati poi ne restarono presi da tale spavento, che al solo apparire d’una fune o d’un’asse sopra le mura, a qual distanza che fossero stati, si davano a gambe, temendo non qualche nuova macchina fosse messa in opera. Per la qual cosa il console non mai più venne allo assalto, ma fece d’affamare la città, stringendola dalla terra e dal mare. E, lasciatovi il pretore Appio con parte dell’esercito, egli col resto si diede a discorrere per la Sicilia, per sottomettere quelle città (e molte erano) che, incuorate dall’arrivo di un esercito cartaginese comandato da Imilcone e dalla disfatta de’ Romani nell’assalto di Siracusa, parteggiavano apertamente per Cartagine.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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