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      Alti clamori si levarono per quel disastro in tutta Sicilia, e più che altrove in Siracusa, contro il pretore. La pubblica indignazione fu per divenire furore, quando si videro quattro piccole barche di que’ pirati entrare sicure nel porto di Siracusa. In quel porto, in cui le numerose e potenti armate di Atene, di Cartagine, e di Roma avevano incontrato l’ultimo sterminio, quei predoni, a mo’ di scherno, venivano gettando lungo le mura della città i cerfaglioni, di cui si nutrivano i marinai siciliani, che in grande abbondanza avevano trovato sulle navi.
      Verre ben conosceva che in Roma non sì faceva caso de’ furti e delle iniquità, ma non si sarebbe perdonata la codardia e la perdita dell’armata. Per lo che volle toglier di mezzo quei testimoni, che in ogni caso avrebbero potuto far conoscere la vera cagione dell’avvenuto. Fece chiamare i capitani delle navi, i quali, consci della loro innocenza, vennero. Come furono in sua presenza, li fece mettere in catena, e poi ad uno dei manigoldi della sua coorte fece avanzare contro di essi l’accusa d’avere per tradimento presa la fuga e abbandonate le navi. Dalla coorte stessa trasse i testimonî e i giudici; quegl’infelici furono dannati a morte. Ma quel Cleomene, che sarebbe stato il solo reo, se Verre nol fosse stato più di lui, non compreso nell’accusa, stava, durante l’iniquo giudizio, colla solita dimestichezza seduto a canto al pretore.
      Eppure quest’uomo reo di tanti delitti davasi vanto, che due sole annualità de’ lucri fatti sul frumento gli bastavano, per farsi beffe di qualunque clamore, che i Siciliani potessero levare in Roma.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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