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      Erano finalmente i feudatari obbligati ad assistere il loro signore, non che colla spada in guerra, ma col consiglio in pace. I popoli settentrionali, che invasero il romano impero e vennero a fondare le moderne monarchie, ebbero sempre il costume di trattare in comune i pubblici affari. Si adunavano quei guerrieri, ed in quelle adunanze i supremi capitani potevano persuadere, non comandare (195). Ridotte poi a nazioni quelle barbare masnade, divenute leggi stabili le antiche loro consuetudini, ciò fu anche più necessario; imperciocchè non sarebbe stato possibile esigere obbedienza da sudditi trapossenti, nelle cui mani era la forza pubblica, se gli atti della suprema potestà non fossero stati validati dal loro consenso. E però le adunanze dei feudatari, che poco appresso furono in tutta Europa chiamate parlamenti, nelle quali si giudicavano i misfatti e le civili contese dei feudatari stessi, e si consultava intorno ai grandi affari dello stato, erano il costitutivo dalle monarchie feudali; e l’intervenirvi era servizio, non diritto (196).
      I prelati di Sicilia ebbero sian d’allora sede in quelle adunanze, per essere anch’eglino feudatari; perocchè tutte le concessioni loro fatte erano feudali, avvegnacchè il conquistatore per un particolare rispetto alla santità del loro ministero, gli abbia sempre fatto esenti del peso di militar di persona e spesso delle altre prestanze. Nel diploma della concessione fatta al monastero ed al vescovo di Catania, si dice che avendo quei monaci chiesto al conte a qual peso li voleva soggetti, dichiarò null’altro volerne che un pane ed una tazza di vino, sempre che egli od alcuno dei suoi successori visitassero il monastero (197). Ad altri fu imposta una semplice ricognizione di frutta e d’erbaggi.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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