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      Sopra queste venivano con graduale dignità le tre classi de’ feudatarii, i militi, i baroni, i conti. Ogni persona in quell’età aveva come un prezzo agli occhi della legge, eccetto il villano, che alle cose più che alle persone appartenea. Il conte valeva il doppio del barone; questo il doppio del milite; il milite il doppio del borgese; e il borgese il doppio del rustico (254). Ciò non però di manco nella pubblica estimazione assai più del doppio valevano i feudatarii; e la legge stessa veniva altronde in appoggio della pubblica opinione. Un’ingiuria fatta da un milite ad un suo pari era punita colla perdita dell’armatura e del cavallo, e l’esilio d’un anno; l’offesa stessa fatta da un borgese ad un milite era punita col troncamento della mano (255). Nè ciò era fuor di ragione; perocchè i feudatarii costituivano allora la forza pubblica; ed i feudi erano parte essenziale della rendita dello stato, per la ricompra del servizio militare, per gli adjutorii feudali, per lo rilevio e per la dura servitù, alla quale andavan soggetti, di potervisi menare a pascere gli armenti reali (256). Nè di tali pesi andavano del tutto esenti coloro, che non erano feudatarii.
      Negli stessi casi della guerra, dell’incoronazione del re, dell’armarsi cavaliere il figlio, dell’andar a marito la figlia, in cui i feudatarii prestavano il servizio e pagavano una taglia, una imposta si pagava dagli altri cittadini del regno, qual si fosse il luogo di loro abitazione, che si diceva colletta. Indi è manifesto quanto gli abitatori dei feudi erano più gravati degli altri.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468