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      Dopo pochi giorni, convocato di nuovo il Parlamento, Boemondo di Tarso, giovane chiaro per sangue e per virtù, levatosi accusò Riccardo di Mandra, conte di Molise, d’esser complice della congiura del conte di Montescaglioso e si dichiarò pronto a provar colla spada la verità della accusa. Il conte lo chiamò mendace, piangea di rabbia e piangendo gridava: sè esser pronto a combattere, non che l’accusatore, ma con due altri a lui pari. Il parlamento a quei detti inchinava in favor suo: ma il conte di Caserta soggiunse alla prima accusa, d’aver egli, senza il consenso del re, usurpato la terra di Mandra e parecchi castelli presso Troja. A ciò egli rispose: Mandra essergli stata data a tenere dal gaito Pietro, quando in nome del re governava il regno, a patto di pagarne una rendita al re; ed i castelli essergli stati concessi dal camerario di quelle parti. Chiamato quel camerario, negò d’aver fatta tale concessione. Il parlamento destinò l’alta corte de’ pari ad esaminare i fatti e decidere. Era la corte composta dei conti di Monopoli, di Caserta, di Tricarico, di Avellino, di Sangro e di Geraci; dal gran giustiziere Rugiero di Tours, e dai giustizieri Florio di Camarota, ed Abdenago di Annibale (280).
      La corte, esaminata la cosa, decise, che il conte di Molise potea aver tenuto la terra di Mandra legittimamente finchè governò il gaito Pietro; ma dopo la fuga di lui, essendo il re insciente di ciò, il suo possesso divenne illegittimo; ed essere stati usurpati al re gli altri castelli.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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