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      Date tali disposizioni, la corte fece ritorno in Palermo addì 20 marzo di quello anno.
      Comechè il gran cancelliere, carcerati i conti di Montescaglioso e di Molise e pochi altri, non avesse voluto che si fosse andato più oltre nel punire gli altri cospiratori, anzi si fosse mostrato più benigno verso di essi, non potè vincere la pervicacia loro. Il gaito Riccardo gran camerario, il protonotajo, Gentile vescovo di Girgenti e tutti i loro consorti, fatto cuore per lo ritorno in Puglia del conte di Gravina colla sua gente, rannodarono le fila della cospirazione e stabilirono di mettere a morte il gran cancelliere nella domenica delle palme, come sarebbe per venir fuori del palazzo accompagnando il re. Poco avevano a stentar costoro nel procurar compagni; dachè la rapacità dei francesi, familiari del gran cancelliere, ben li favoriva. Primajo fra questi era Giovanni di Lavardino, al quale egli avea fatto concedere Caccamo e le altre terre, che erano appartenute a Matteo Bonello. Costui obligava i borgesi di quei luoghi a pagargli l’insolito e pesantissimo tributo della metà di tutti i loro beni mobili, dicendo, tale esser l’uso di Francia. Replicavan que’ meschini: in Sicilia esser tenuti ad annue prestazioni solo i Greci ed i Saracini che villani erano; esser loro uomini liberi, che all’infuori di volontarî donativi, in casi straordinarî, nulla pagavano; quella consuetudine potea valere in Francia, ove non eran cittadini liberi (282), non in Sicilia. Ma le loro suppliche furono dal gran cancelliere respinte; perchè i suoi gli fecero capire che menando buone le costoro dimande, tutti gli abitatori dei feudi si sarebbero levati in capo.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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