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      Noi non sappiamo quali apparenti ragioni metteva avanti papa Innocenzio per giustificare quell’ingiusta pretensione; ma il Baronio (304) si fa forte con dire che quel trattato fu estorto della necessità; e però era nullo. Ma è da considerare che sei pontefici erano saliti sulla cattedra di S. Pietro dopo Adriano IV, fra i quali Alessandro III, Lucio III e Clemente III, ch’erano stati i tre cardinali, che per parte di papa Adriano aveano conchiuso il trattato. Nissun di costoro avea messo in forse la validità di quella convenzione; tutti anzi l’aveano tenuta salda, e tutti eran vissi in grande amicizia col I e col II Guglielmo. Dopo un mezzo secolo che il trattato era in pieno vigore, come poteva papa Innocenzio III romperlo, per essere stato estorto dalla necessità? Ammesso tale scandaloso principio, sarebbe bandita la fede di tutti i trattati fra’ principi, che tutti sono sempre dettati dalla necessità. Non pensa il Baronio che, mentre quel pontefice voleva giovarsi dell’angustie di una vedova e d’un pupillo, circondati da molti e potenti nemici, per estorquere da essi rinunzia di un privilegio, che i re di Sicilia aveano sempre goduto, la sua ragione sarebbe stata più valevole a dichiarar nulla la renunzia, che nol sarebbe a dichiarar nullo il trattato.
      La regina Costanza, conosciuta l’ostinazione del papa, da una mano mandò in Roma suoi ambasciatori Anselmo arcivescovo di Napoli, Almerign arcidiacono di Siracusa e Tommaso gran giustiziero del regno, per cercare di persuaderlo; dall’altra fece solennemente coronare il figliuolo nel duomo di Palermo nel 1198. Fu vana l’opera degli ambasciatori, papa Innocenzio non volle lasciarsi scappare quel destro di spogliare senza rischio i monarchi di Sicilia dell’antico dritto; gli ambasciatori ebbero a piegarsi.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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