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      Ad intercessione di papa Onorio ebbero libertà l’anno appresso, a patto d’andar banditi dal regno e lasciare stadichi i figli ed i nipoti (314).
      La guerra contro i saracini delle montagne continuò; ma non potè venir fatto a Federigo, nè allora, nè appresso, di sottometterli od estirparli del tutto; intantochè in tutto il corso della vita di quel principe le memorie de’ tempi accennano a quando a quando alcuna di tali guerricciuole, che bastarono finchè quella mal’avventurata genìa non più favorita dal governo, non protetta dalla legge, non gradita agli altri abitanti, venne in quel tempo estinguendosi.
      Prima di spirare il termine di due anni, entro i quali Federigo avea giurato di recarsi in Terra-Santa, volle egli nel 1225 chiedere una nuova proroga al papa, per essere pericoloso per lui il dilungarsi dal regno, mentre ancora ardeva la guerra co’ Saracini; e per ottenerla mediò il re Giovanni di Brenna suo suocero e ’l patriarca di Gerusalemme, non guari prima venuti da quella città. Costoro si recarono a Tivoli, ove Papa Onorio s’era allora ritratto. Il re in questo, che in Amalfi era, chiamò colà tutti i prelati del regno, forse per consultare sulla condotta da tenere, nel caso che il pontefice si fosse negato; ma il caso non ebbe luogo; Onorio travagliato allora da una sedizione de’ Romani, per cui era stato costretto a fuggir da Roma, condiscese alla richiesta; due cardinali furono da lui spediti a Sangermano, ove re Federigo imperadore s’era trasferito con tutti i vescovi, ed ivi in presenza di questi e de’ cardinali giurò di recarsi ivi a due anni nel mese d’agosto in Soria, menando seco mille militi, cento legni, che si dicevano Malandri, e cinquanta galee ben armate; di dare a sue spese il passaggio a duemila altri militi colle loro famiglie, contando tre persone per ogni milite; di dare cinquanta marche d’argento per ogni milite che avesse condotto di meno; di consegnare centomila once d’oro al re Giovanni di Brenna, al patriarca di Gerusalemme ed al gran maestro de’ Teutonici, per farne le spese della guerra; e, nel caso ch’ei fosse morto prima di recare a fine l’impresa, il suo successore nel regno di Sicilia fosse tenuto a farlo; consentì finalmente ad essere scomunicato e sottoposto all’interdetto il suo regno, ove egli fosse per mancare a tal giuramento (315). I due cardinali allora lo sciolsero dai giuramenti prima prestati in Veroli ed in Ferendino.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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