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      Si permetteva solo portar la spada ai militi e loro figli, ed ai borgesi, quando doveano per loro faccende recarsi a cavallo fuori della città; pena cinque once al conte, quattro al barone, tre al milite, due al borgese, una al rustico (365). E, perchè ognuno, inerme come era, avesse una pronta difesa, bastava all’assalito intimar l’aggressore in nome del re a desistere, perchè quello si facesse reo di sprezzata difesa, non rimanendosene (366). La pena di morte era inflitta, non che ai rapitori delle sacre vergini (367), ma di qualunque donna onesta, abrogata l’antica legge, per la quale bastava al rapitore lo sposare la donna rapita, per ricattarsi della pena capitale (368). Colla stessa severità si volean puniti coloro che usavan violenza anche alle meretrici (369). E, perchè le cose fossero, come le persone, al coverto dell’altrui violenza, chiunque toglieva di forza la cosa altrui era condannato a restituirla colla metà del suo valore, se stabile; col quadruplo, se mobile (370). Di morte erano puniti i devastatori dei campi e gl’incenditori delle case, se colti sul fatto od altronde convinti; ed in ogni caso che il reo di tali malfatti restava ignoto, tutti gli abitanti del luogo eran tenuti a rifare il danno. Pegli omicidi clandestini poi, de’ quali il magistrato non potea venire a capo di scoprir l’autore, tutti gli abitatori delle terre eran sottoposti alla multa di cento augustali, se l’ucciso era un cristiano; di cinquanta, se ebreo o saracino (371). Leggi salutarissime in quell’età, in cui il devastare i campi, l’incendiar case, le uccisioni e simili ribalderie erano opera di pubbliche associazioni, più che di private nimistà.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468