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      Per tal ragione fu vietato l’uso di una certa scrittura intralciata, che si usava in Napoli, nel ducato d’Amalfi ed in Sorrento; e fu prescritto che gli atti pubblici fossero scritti in pergamena e non in carta bambagina (397); ch’essi dovessero essere sottoscritti, oltre il notajo ed il giudice, da due testimonî, se il valore della cosa, di cui l’atto trattava, era meno di una libra d’oro, da tre, se fosse di più; e che nissun chierico potesse essere notajo o giudice (398).
      Dalle qualità delle scritture passando a quelle che sì volean pe’ testimoni, fu disposto ch’essi fossero di nobile ed onesta nazione; però fu vietato ai rustici, che si dicevano anche angarii, ed ai villani d’intervenire ne’ giudizî come testimoni. Si volevano due testimoni per deporre contro un loro pari; ma il numero di essi si addoppiava traendoli dalle classi inferiori; così contro un conte valeva la deposizione di due conti o di quattro baroni o d’otto militi o di sedici borgesi; contro un barone dovean deporre due baroni o quattro militi od otto borgesi: e per un milite esser doveano o due militi o quattro borgesi (399). Dai Diplomi de’ tempi apparisce, che i testimoni erano ricevuti da un giudice e dal notajo della corte, e vi si voleano presenti altre persone che sapeano leggere e scrivere, e perciò chiamati testimoni letterati. Il notajo stendeva l’atto, il giudice ed i testimoni letterati lo sottoscrivevano.
      Si volle che gli appelli si facessero nello spazio di cinquanta giorni, dopo profferita la prima sentenza: che la parte appellante stesse di presenza ad insistere per la spedizione della seconda sentenza e se si allontanava, senza congedo del magistrato, il giudizio d’appello non avesse più luogo, meno che nel caso che il giudice superiore conoscesse che nulla in se stessa era stata la sentenza dell’inferiore (400).


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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