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      Nè contento a ciò Federigo, convertì in dazio ordinario ed esasse in quantità arbitraria la colletta, che per legge i principi aveano dritto di imporre solo in casi straordinarî, fissati dalla legge, e nella somma che la legge stessa stabiliva. Nè valse ch’egli nel suo testamento avesse dichiarato illegali tali nuove esazioni da lui introdotte, ed ordinato al suo successore di rimettere i pesi pubblici nello stato, in cui erano sotto Guglielmo II. Nè Corrado, nè Manfredi, ambi più di lui travagliati dall’ira pontificia, poteano recare ciò ad effetto; e gli Angioini, che indi seguirono, fecero peggio: intantochè la sola sanguinosissima rivoluzione del 1282 potè restituire la cosa all’antico stato.
      XV. - All’eccesso dei tributi andava congiunto estremo rigore nell’esazione. Una volta Federigo fu per gittar dai merli del real palazzo il giustiziero Bernardo Caracciolo, perchè nella provincia sua non avea raccolto oltre a settecent’once; nè valse il dire in sua discolpa, che le terre erano tutte povere. Si minacciava talvolta la galea a coloro che nel tempo prescritto non avessero pagato la colletta; e tal’altra fiata si mandavano masnade di Saracini e di Tedeschi ad alloggiare nelle terre, che indugiavano a pagare (435). Quanto Federigo fosse sempre instante per la riscossione de’ tributi, possiamo argomentarlo dal vedere che nelle lettere stesse, nelle quali ordinava ai giustizieri di recarsi al parlamento, e portar con essi i sindaci delle città, soggiungea di aver cura di portare altresì interamente esatta la colletta del giustizierato; e se alcun piccolo residuo era ad esigere, destinassero istantissimi esattori, che instantissimamente lo esigessero (436). Si tenea allora registro pel numero dei fuochi, o sia delle famiglie e delle case ch’esse abitavano in ogni città, terra o villaggio.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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