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      Trovatone chiuse le porte, uno de’ suoi scudieri, che parlava la lingua araba, avvicinatosi alla porta disse a coloro che da entro ne stavano a guardia: È qui il vostro signore, il principe figliuolo dell’imperadore, che diceste d’esser pronti a ricevere in città, apritegli. Coloro sapendo l’ordine lasciato dal moro, per cui il Marchesio si arebbe negato a dar le chiavi, con unanime sforzo sconficcarono la porta, e quindi il principe entrò. Sparsasi in un attimo per la città la notizia di esser giunto il principe Manfredi, tutto il popolo a numerose torme trasse intorno a lui. Se lo recarono sulle braccia, ed in trionfo lo menavano verso il real palazzo, gridando di esser tutti pronti a morir per lui.
      Il Marchesio scosso da quel tafferuglio, saputane la ragione, armatosi, venne fuori del real palazzo colle schiere che lo custodivano; ma questi, avvicinatosi il principe, si unirono agli altri per acclamarlo. Fu forza al Marchesio far lo stesso, dargli in balia la città e il palazzo. Erano in quel palazzo, come in luogo sicurissimo riposti il danaro, argenti, preziosi arredi, armi del difonto Federigo, che con un nome collettivo si dicevano allora camera; onde nacque il titolo di gran camerario a colui che avea in cura la roba e quanto appartenea al sovrano. E, per essere quel moro gran camerario, tutto ciò era in poter suo. V’era altresì la camera di re Corrado; quella del marchese Otone di Bembourgh fratello del marchese Bertoldo, e quella dello stesso moro, assai più doviziosa delle altre.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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