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      Conchiusa la pace, il cardinale pregò il principe perdonare e restituire la grazia sua a tutti che sin dai tempi di Federigo imperadore erano stati banditi. Manfredi li graziò tutti del libero ritorno in patria, e loro restituì i feudi e le baronie, che per bando avean perduto; nella quale grazia furono espressamente compresi il marchese Bertoldo di Bembourgh e’ suoi fratelli, a patto che tutti indi in poi si tenessero fedeli al proprio principe. Il solo uso, che fece quel marchese di tale grazia, fu di cominciare ad ordire con altri baroni una cospirazione contro del principe. Manfredi n’ebbe lingua per mezzo di un conte di Guaserbuch, che si trovava nella corte del pontefice, quando vi giunsero i messi del principe a chiedere la ratifica della pace conchiusa col cardinale Ottaviano, legato pontificio. Venuto così Manfredi in cognizione dell’invincibile malvagità del Bembourgh, lo fece imprigionare una coi suoi fratelli.
      VIII. - Manfredi, cui poco calea della ratifica del papa, non essendo nel regno esercito nemico da combattere, venne in Barletta: e per dare alcun ordine alle provincie sconvolte da tante perturbazioni, vi chiamò il parlamento del regno, nel febbraro del 1256. Ivi l’alta corte dei pari dannò a morte come felloni il marchese di Bembourgh ed i suoi fratelli. Manfredi, cui era grave spargere il sangue di que’ principi, a lui tanto stretti di sangue, commutò la pena in perpetuo carcere; ed ivi finirono miseramente i giorni loro. Dalla corte stessa fu condannato Pietro Ruffo, conte di Catanzaro alla perdita di quella contea e della carica di gran siniscalco (481). Nel parlamento stesso, Manfredi, per rimunerare gli alti servizî dei suoi due zii, i conti Galvano e Federico Lanza, conferì al primo la contea di Salerno e la carica, di cui era stato privato il Ruffo; ed all’altro la contea di Squillaci.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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