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      Tre giorni in tre diversi punti si rinnovò l’assalto, e sempre respinti furono con grave perdita loro gli assalitori. Finalmente, per divertire le forze dei difensori, il duca di Calabria tentò di fare rompere con varî argomenti la catena, che chiudea il porto: ma anche quest’impresa gli venne fallita. Allora per non isprecare invano la gente, cinse ogn’intorno la città colla speranza d’affamarla.
      Il coraggio de’ Palermitani venne allora accresciuto dalle lettere loro dirette dai comuni di Messina e di Catania per animarli a difendersi da forti. I messinesi in particolare, i quali ultimi erano stati nel 1282 a cacciare i Francesi, ma primi eransi poi mostrati in ogni incontro, con molto sale venivano nella lettera rammentando le forti espressioni di quella scritta loro dai Palermitani per animarli a seguire l’esempio loro e levarsi in capo contro i francesi (534).
      Pure, malgrado il coraggio de’ cittadini, presto la città fu minacciata da pericolo maggiore, la fame. Una gran popolazione stretta da per tutto venne presto strema di viveri. Giovanni Chiaramonte aprì i suoi magazzini, lo stesso fecero tutti gli altri, e il frumento e quant’altro in quelli era riposto si distribuiva ogni giorno con economia fra’ cittadini. Ma ben si prevedea che ciò dovea presto finire. Però i baroni, che ivi erano, scrissero al re per fargli conoscere il caso urgente. Il messo, che dovea portar la lettera travestito da accattone, uscì dalla città, e confuso fra tanti altri paltonieri che s’aggiravan per lo campo, veniva traversandolo come se non paresse suo fatto.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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