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      I capitoli del regno erano proposte, che faceano i parlamenti, alle quali il re apponea la sua sanzione: onde tali leggi devono considerarsi come prove storiche delle idee di quel secolo: ma provano al tempo stesso lo studio del principe a promuovere il bene dei sudditi.
      Erano allora le corti di giustizia in Sicilia nel massimo disordine: enormi concussioni si commetteano dai magistrati. Per darvi alcun riparo i vicerè Antonio Cardona, Ferdinando Velasquez e Martino de Torres aveano nel 1420 fissati i diritti da pagarsi ai magistrati (547). Ma pare che inutile sia stato un tal provvedimento: dachè il vicerè Niccolò Speciale quattro anni dopo fu dai continui reclami costretto a tornare in sullo stabilire diritti. Venuto re Alfonso in Sicilia, in un consesso del sacro consiglio, cui intervennero anche i prelati e’ baroni del regno, stabilì, che quattro e non più fossero i giudici della gran corte; che ad ognuno di essi fosse assegnato il soldo di once cento trenta; che fosse loro vietato di ricevere cosa alcuna dai litiganti; pure si permise ai giudici di ricevere i viveri (esculentum et poculentum) per se e per la famiglia da consumarsi in un giorno. Forse la corruzione era così comune e sfrontata che ciò parve cosa ben lieve. Fu stanziato inoltre che, rimesso il processo ad alcuno de’ giudici, questi dovesse esaminarlo, restituirlo alla corte al più fra dodici giorni, e restituitolo, la corte dovesse profferir la sentenza al più fra dieci giorni; furono egualmente fissati il soldo e’ doveri dell’avvocato fiscale, de’ procuratori fiscali, del maestro notajo e dell’archivario della gran corte.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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