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      K. X. Y. chiama strano, senza conoscerlo, quanto le leggiadre poesie di Meli sono al di sopra de’ versi di Guittone, di Jacopone e di ogni altro di quel secolo, nessuno de’ quali avrebbe potuto ridurre il dialetto a lingua e renderla generale. Lo poterono solo Dante, Petrarca, Boccaccio. Pel lungo studio fatto sui classici latini poterono costoro fare a bello studio ciò che i popoli italiani aveano fatto prima sregolatamente; e diedero così al dialetto toscano la copia e nobiltà de’ vocaboli, la maestà dei periodi, la varietà de’ modi, la regolarità de’ costrutti della lingua madre; insomma da povero e basso dialetto lo elevarono a lingua nobilissima. È per ciò che l’unanime consentimento dei secoli a questi tre sommi scrittori, e non a coloro che li precessero, ha dato il titolo di padri della lingua italiana. Ciò non però di manco non avrebbero costoro forse potuto render generale la lingua fra ’l popolo toscano, se non avessero scritto la divina commedia, la poesia amorosa ed il Decamerone.
      La divina commedia è una delle rarissime opere, in cui il volgo ed i sapienti trovano, ognun per sè, un merito grande. Mentre il dotto vi ammira l’arditezza del disegno, la sublimità dello stile, la forza dell’espressioni, la gran copia di cognizioni, la profondità de’ pensieri, la finezza delle allegorie e quel modo di dipinger la cosa tanto al vivo, che nessuno ha potuto uguagliare; l’indotto si delizia nel leggere un poema, nel quale si descrivono le pene eterne che soffrono i malfattori, quelle che ad altri sono inflitte, per espiazione de’ loro falli e l’eterne beatitudini de’ buoni.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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