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      Vi fa sapere il dotto ab. Spedalieri(928), che niuna strega è mai stata abbruciata dal S. Officio in Roma; e da ciò argomentate, quanto esser debba esagerato il numero di quelle, che si fingono abbruciate per opera del S. Officio in Italia ed in altri luoghi dove ha avuta sempre tanta ingerenza questo supremo Capo dell'Inquisizione delegata: e per qualcuna che pure vi restasse, chi ne [411] potrà formare un delitto irremissibile al tribunale suddetto? Quale è quel tribunale, che tra le molte giustizie con rettitudine amministrate, e nella lunga serie de' valorosi suoi Presidenti non conti o qualche ingiustizia commessa inavvedutamente per mancanza dei lumi, ch'erano necessarj per evitarla, o qualche giudice appassionato e vizioso, che si è mostrato più avido di ostentare autorità e rigore, che ansioso di amministrare la giustizia? Se per questi motivi non si dice, nè si può dir con ragione di alcun'altro tribunale, che è pernicioso e cattivo, come potrà dirsi di quello del S. Officio, che ha sempre puniti con ogni severità questi disordini, e colle opportune istruzioni e colle più utili provvidenze ha procurato sempre d'impedirli? Scorrete tutti gli autori, che trattano del tribunale del S. Officio; leggete le Pratiche e manoscritte e stampate, che si fanno girare da gran tempo in mano dei Padri Inquisitori; riandate i decreti fatti sino dai tempi di S. Pio V. a questo proposito; e troverete in tutti la gran premura, che ha sempre avuta il tribunale supremo, di prevenire, impedire e correggere gli sbagli e le irregolarità indicate: troverete i replicati ordini dati a tutti i giudici subalterni di osservare le regole più esatte della giuridica processura; il divieto fatto a tutti d'inoltrarsi in queste inquisizioni senza prima avere stabilito nelle dovute forme il corpo del delitto; l'avviso a tutti dato di non far conto in questi casi della stessa confessione delle streghe, se non precedono gli atti e le prove più convincenti e più chiare.


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Della punizione degli Eretici e del Tribunale della S. Inquisizione
Lettere apologetiche
di Vincenzo Tommaso Pani
pagine 736

   





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